Come una palla in cerchio passa dall’uno all’altro ed è di tutti; fa un cenno ad uno all’altro strizza l’occhio; ad uno fa moine, l’altro se lo tien stretto; tocca a destra con la mano, a sinistra fa piedino; mostra a questo l’anello, chiama quello a fior di labbra con uno canta e a un altro fa segni con le dita……E’ incerta l’attribuzione della Tarentillaa Nevio;fu attestata da Festo (II secolo a.C.) solo per il secondo verso chesecondo il vescovo di Siviglia, Isidoro, è da attribuire ad Ennio al quale oggi si tende ad assegnare il frammento.
Al tempo in cui i romani assediavano Taranto, Kalimera si innamorò perdutamente del loro comandante, il console Tumulo, Per incontrarlo la fanciulla, eludendo la sorveglianza delle guardie, aprì le porte della città. Con Tumulo entrarono anche i romani, che furono però respinti. I tarantini, scoperto il tradimento, condannarono la fanciulla al rogo e, mentre la fiamme avvolgevano il suo corpo, Tumulo, non sopportando di vivere senza il suo amore, la abbracciò e morì con lei. Si dice che, ancora oggi, in alcune vie della città sia possibile ascoltare i loro bisbigli di amore misti a terribili urla di dolore.
Sofronia era una fanciulla tarantina che decise di concludere la sua esistenza terrena in eremitaggio sull’isola di san Pietro dove costruì una capanna di rami e tronchi d’albero. Di questo episodio si trovano tracce in molte testimonianze pittoriche tra cui un antico affresco, conservato in san Pietro Mandurino a san Pietro in Bevagna, nel quale era raffigurata la giovane eremita in abito da penitente intenta a incidere il proprio nome sugli alberi dell’isola. Di lei hanno scritto san Girolamo e il Merodio.
Nel De puellis tarentinis Elisio Calenzio, per far ingelosire la sua amata, che si chiamava Olimpia, così lodava la bellezza delle giovani tarantine se lo vuoi saper son tutte belle, tutte che amano e tali che non hanno venerato nessuna divinità se non Venere.
Chiara e Caterina Valente erano due fanciulle ben note al tempo di Tommaso Niccolò D’Aquino che di loro tramanda parecchie notizie riportate dal Carducci, tra cui che la prima a cui va il maggior vanto di bellezza si dilettava di sonar la chitarra, l’altra di ben cantare le canzonette proprie delle tarantine che ritengono certe lor greche veneri anche nel metro tutto languido e blando.
A Taranto era ben conosciuta e praticata la schiavitù. Il 2 maggio del 1469, il sacerdote don Lancillotto di Leone, che abitava nel pittaggio Ponte, redigeva nelle mani del notaio Nicola Giungato e del giudice Angelo Giovine il suo testamento, nel quale tra l’altro si leggeva che liberò, riscattò e affrancò Maria, sua serva e schiava, ed i suoi eredi dalla perpetua schiavitù.
Il 23 novembre 1649, il nobile Giovanbattista Protontino dispose per testamento che, alla morte della sorella Laura, le sue sostanze sarebbero state utilizzate per la costruzione di un monastero destinato alle povere orfanelle tarantine. Fu denominato Le cappuccinelle e fu inaugurato il 13 giugno del 1763 come luogo di clausura. Le due direttrici, donna Maria Michela Marrese e donna Maria Rafaela de Villegas erano monache di santa Chiara e con loro varcarono la porta del convento, detto volgarmente Porta del Ponte, dieci fanciulle.
Nel 1274, per volontà di monsignor Stella, in alcune case del pittaggio Baglio, fu costituito il Conservatorio delle Verginelle, dove le fanciulle entravano a dodici anni per uscirne a venticinque, solitamente per sposarsi. Era regolato da norme molto rigide : le oneste zitelle abbiano da vestire abiti secolari al modo più modesto… Non s’avevano a tagliare i capelli ma portarli composti… non dovevano parlare con persone estranee…
Johann Herman von Riedesel, barone di Eisenbach, giunto a Taranto nel 1767 ebbe a dire che i tarantini sono ben fatti e le donne molto belle ed hanno tutte le fattezze greche. Nel 1789 fu a Taranto il conte Ulisse de Salis, signore di Marschilins, il quale si compiacque di trovare così amabili e piacenti signore in una città di provincia così poco frequentata e all’estremo limite di Italia. Il Varney nella sua operetta L’amour mouillè , definì la nostra città pays de jolies filles.
A Taranto nel 1830 fu nominata la prima maestra dedita al pubblico servizio, la signora Camilla Sanarica.
Nell’anno scolastico 1882-1883 venne ammessa frequentare il ginnasio Comunale una ragazza, la signorina Adalgisa Orlandi, di Francesco, che il Direttore ebbe ad additare come modello di assiduità e profitto.
Nel 1923, nella città vecchia, in un edificio che era stato per lungo tempo adibito a cinema-teatro, sorse una Scuola professionale Femminile, voluta e diretta dalla professoressa Filomena Marturano.
La Voce del Popolo del 7 settembre 1941, in un articolo sulla natalità, annoverava la nostra città tra i capoluoghi più prolifici. Per tutte le mamme veniva ricordata Addolorata Sangermano, moglie del camerata Francesco Boccuni, che aveva dato alla luce il suo diciassettesimo figlio. Già nel 1937 Taranto aveva conosciuto gli onori della cronaca grazie al parto plurimo, quattro gemelli, di Maria Nardelli, maritata Cardellicchio.
La violinista Tina Blasi, la pianista Gina Schellini e la violoncellista Angela Lavagnini si esibivano con successo dalle stazioni radio dell’EIAR. Le prime due erano tarantine